16 ago 2017

Un agosto molto "caldo"

Un fascicolo aperto dalla Procura della Repubblica di Torino e uno da quella di Velletri. Un agosto reso incandescente da una serie di eventi definiti da più parti “errori”. Non si parlerà in questo articolo di tali singoli eventi; piuttosto si svolgerà un'analisi su alcune osservazioni riportate dai media.

Molti si chiedono per quale motivo il modello esteso dalla Lombardia alle altre Regioni, apparentemente efficiente, sembri non operare altrettanto bene in queste ultime. Innanzi tutto bisogna considerare che eventi locali, come quelli accaduti nella prima Regione che si è convertita al numero unico, spesso non hanno avuto un risalto nazionale. Risalto che, ora che il modello si è esteso ad altre località italiane, è ragionevolmente aumentato. Inoltre gli eventi, per una pura questione statistica, iniziano a coinvolgere molte più personalità in grado di agire su un contesto nazionale.

Studiando meglio il modello, in ogni caso, sarebbero bastati i casi di Brione, Como, Lecco, Milano, ma soprattutto il caso dell'omicidio della Dott. Cantamessa, a mettere in allarme gli esperti ed agire di conseguenza sul sistema per migliorarne l'efficienza. Invece spesso gli eventi avversi sono stati derubricati in “errori umani”, quando sono quasi trascorsi trent'anni da quando J. Reason affermava che:“Gli esseri umani commettono errori perché i sistemi, i compiti e i processi in cui lavorano sono disegnati o organizzati in maniera inadeguata”. Il risultato è stato che, allontanando l'operatore che ha commesso l'errore, ci si è illusi di aver risolto i problemi, fino a quando si sono ripresentati.

Tecnologie vetuste come la geolocalizzazione mediante rete mobile (in pratica una inutile simulazione basata su una ricostruzione approssimata dell'orografia e delle potenze di trasmissione) o inefficienti come le App di localizzazione (esattamente l'opposto del concetto alla base del numero unico: un'app per ogni Nazione, quando va bene) sono state propagandate come panacea di tutti i problemi quando la realtà è che in un quarto di secolo è cambiato poco o nulla: la stragrande parte delle comunicazioni di emergenza, in Italia, avviene ancora via telefono o rete radio sincrona e i cittadini nel loro telefono mobile hanno a disposizione molta più tecnologia di quanta ne possano utilizzare i sistemi di emergenza (basti pensare al NG911 implementato negli Stati Uniti dal 2013, che permette videochiamate o richieste di soccorso via canali social).

Questo però non è sufficiente a spiegare il problema dei ritardi nella comunicazione tra Enti del soccorso, che alcuni attribuiscono all'introduzione della CUR (Centrale Unica di Risposta): spiegazione superficiale. La comunicazione tra gli Enti è un processo di resource management e non riguarda la chiamata di emergenza ma la gestione dell'emergenza. L'introduzione della CUR allunga i tempi della chiamata ma riduce quelli della gestione dell'intervento. Quello che succede è piuttosto che, in precedenza, ciascuno era a conoscenza dell'orario di arrivo della propria chiamata e questa informazione non veniva condivisa con gli altri Enti. Adesso invece, l'orario di arrivo della chiamata è a disposizione degli Enti che ricevono la scheda “per conoscenza” ed è su questa base che vengono identificati ritardi nell'allertamento. In realtà questi ritardi ci sono sempre stati da tutte le parti e non dipendono da operatori poco solerti quanto da carenza di personale e mezzi o da procedure e tecnologie vetuste: ad esempio, ancora, l'obbligo evitabile di reperire ed allertare mezzi e persone mediante dettatura via radio o telefono in uso ancora in gran parte dell'Italia.

Il problema dei ritardi, più precisamente, è collegabile al fatto che ogni sistema organizzativo è soggetto a continui cambiamenti ai quali dovrebbe continuamente adeguarsi. Come è stato possibile pensare di introdurre le CUR senza ipotizzare che anche sistemi perfettamente rodati come le Centrali operative dell'emergenza ne potessero risentire in qualche modo, in assenza di adeguati cambiamenti organizzativi? Un'altra affermazione che ci tengo a contestare è che gli operatori specializzati delle CUR siano impreparati. È più corretto dire che gli operatori delle CUR hanno ricevuto un addestramento di durata inferiore alla media europea. Tempo fa partecipai al convegno IES2015 a Verona ed una parte della mia relazione riguardava il periodo di formazione del personale nei PSAP1 europei: riporto i risultati (in giorni di formazione) rilevati attraverso richiesta diretta via mail ai singoli rappresentanti nazionali dei sistemi di soccorso.



È evidente quanto l'Italia si collochi agli ultimi posti, quando il bagaglio culturale ed esperienziale degli operatori che hanno il primo impatto con un utente spaventato e disorientato e che necessitano di adeguate conoscenze cartografiche, territoriali, tecnologiche, psicologiche e legali richiederebbe certamente più tempo per formarsi.

Quanto sopra è rivolto soprattutto a coloro che gestiscono il personale; ridurre gli errori significa apportare innovazioni e ridisegnare i processi, a tutti i livelli, con il coinvolgimento di tutti coloro che quotidianamente operano nei sistemi. Ciò è possibile solamente superando uno stile manageriale direttivo, ancorato al modello burocratico-amministrativo, per abbracciare uno stile partecipativo che consideri l'esperienza del personale una risorsa e che valorizzi il patrimonio formativo di ciascuno.

Un appello infine a sindacalisti, amministratori, giornalisti e, in generale, a chiunque affronti la questione in pubblico. Gli operatori delle CUR e dei PSAP2 non sono né sceneggiatori né registi; piuttosto sono attori e, qualche volta, vittime. Non meritano certamente gli attacchi diretti registrati in alcuni casi.

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